Tutto il comune di Sellano si contraddistingue per l’elevato numero di foreste che ricoprono circa il 60% del territorio.
Si tratta di un valore notevolmente superiore al valore medio regionale, dal momento che in Umbria la superficie forestale è di poco superiore al 35%. Le foreste sono caratterizzate soprattutto dalla netta prevalenza del cerro (Quercus cerris), elegante quercia caducifoglia dal tronco slanciato e dalle foglie esili e allungate, di veloce accrescimento e in grado di produrre un’ottima legna da ardere. Accanto al cerro, si ritrovano le altre latifoglie decidue tipiche dei boschi meso-termofili: il Carpino nero (Ostrya carpinifolia), la Roverella (Quercus pubescens), l’Orniello (Fraxinus ornus), l’Acero campestre (Acer campestris), l’Acero opalo (Acer opalus), l’Olmo campestre (Ulmus minor), il Sorbo domestico (Sorbus domestica) e il Ciavardello (Sorbus torminalis) sono le specie arboree più frequenti all’interno delle cerrete, ma in questi boschi è possibile incontrare anche esemplari di ciliegio (Prunus avium), rovere (Quercus petraea) e maggiociondolo (Laburnum anagyroides). Tra le piante erbacee, particolarmente interessanti per i fiori sgargianti e appariscenti sono le orchidee (Orchis spp.) e il giglio rosso (Lilium bulbiferum), rintracciabili sia all’interno dei boschi che nelle aree pascolive; il giglio rosso è una delle specie erbacee più grandi con 60-80 cm di altezza e un grande fiore a sei petali di colore arancione vivo. Una pianta particolarmente attraente, e basta guardarla per capire come mai nel Vangelo di S. Matteo il giglio venga utilizzato come paragone per esaltare la sontuosità e la bellezza delle vesti di Salomone. Nelle zone più fresche, il cerro si unisce a specie più esigenti di umidità come il Carpino bianco (Carpinus betulus) e nelle zone ancor più umide, lungo fiumi e torrenti, esso viene sostituito da pioppi (Populus spp), salici (Salix spp.) e ontani (Alnus spp.) che assieme al carpino bianco, all’olmo campestre e all’acero campestre costituiscono le specie arboree più importanti delle formazioni ripariali della zona. I boschi ripariali assumono una notevole importanza per la regimazione delle acque, per l’assorbimento di sostanze azotate, per la caratterizzazione del paesaggio, per la definizione di microhabitat indispensabili alla sopravvivenza di molte specie animali e vegetali, in particolare anfibi e rettili. Ma assumono una particolare importanza anche come “corridoi bioecologici”: situati nelle zone di pianura e ai margini dei principali corsi d’acqua, i boschi ripariali tagliano le pianure coltivate andando a connettere i vari habitat forestali, creando delle zone di passaggio per molti animali come il capriolo o il tasso che prediligono le zone boscate. La specie più caratteristica dei boschi ripariali è probabilmente il pioppo cipressino (Populus nigra var. Italica), che con la sua chioma stretta e allungata caratterizza il paesaggio e risulta facilmente identificabile. Alle quote più alte, soprattutto nelle zone esposte a Nord, il cerro si mescola con specie più tipicamente montane ed appenniniche: soprattutto con il faggio (Fagus sylvatica), ma in questi luoghi è possibile incontrare anche meravigliosi esemplari di Acero opalo (acer opalus), Sorbo montano (Sorbus aria), Salicone (Salix caprea), Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia)… Il faggio in alcune zone arriva anche a formare boschi puri o quasi puri: le formazioni più estese si ritrovano sicuramente nella zona di Monte Brunette e in quella di Monte Cammoro, dal Santuario di S. Paterniano sino al confine con i pascoli d’alta quota, dove piante secolari di faggio si ritrovano nei lembi di bosco che dai fossi si innalzano verso la cima del monte. Il faggio è sicuramente la specie più importante delle zone montane italiane, soprattutto negli Appennini, e forma delle splendide foreste se governato a fustaia. Le foglie del faggio sono decidue, di forma ovale, con margine seghettato o ondulato, di colore verde tenue in primavera per poi assumere un colore più intenso in estate. La corteccia è liscia e grigia, mentre la chioma è globosa e molto ramificata. Il legno è di colore chiaro e ampiamente usato per mobili, per legna da ardere e, fino a poco tempo fa, per produrre carbone, I frutti, le faggiole, sono commestibili e molto appetite dai numerosi animali che vivono nelle faggete e in particolare dalle ghiandaie, dagli scoiattoli e dai cinghiali. Dalle faggiole è possibile anche estrarre un olio utilizzato in passato sia per l’alimentazione umana che per l’illuminazione. Del resto, la stessa etimologia del nome latino “Fagus” indica abbastanza chiaramente il passato valore alimentare di questa pianta. Imponenti esemplari di faggio, come ad esempio a S. Paterniano, possono essere osservati all’interno dei boschi nella zona di Cammoro. In questi casi gli alberi assumono una grande importanza anche come habitat, dando rifugio a moltissime specie di insetti (come il Cerambix cerdo, cerambicide segnalato nei boschi di Monte Brunette e inserito all’interno delle specie rare o minacciate dalla Comunità Europea), di uccelli (come il picchio verde, Picus viridis), e anche di mammiferi (come lo scoiattolo, Sciurus vulgaris). La presenza di piante secolari aumenta quindi la diversità degli ambienti e conseguentemente il numero di specie animali e vegetali presenti in un territorio, aumentando complessivamente quella che attualmente viene definita con il termine “biodiversità”. Tra le formazioni forestali presenti vanno poi segnalate le zone rimboschite allo scopo di proteggere suoli fortemente degradati e con gravi rischi di erosione: pini neri (Pinus nigra), cedri (Cedrus atlantica) e abeti (Abies cephalonica, Abies alba) sono state le essenze maggiormente utilizzate per questi interventi che necessitavano di specie particolarmente rustiche in grado di fornire in tempi relativamente brevi un’adeguata protezione del suolo. Complessivamente, questi interventi di forestazione hanno interessato una porzione piuttosto marginale del territorio (circa una cinquantina di ettari) e di conseguenza hanno avuto un impatto minimale sul paesaggio e sugli habitat naturali. Ben diversi invece gli imboschimenti effettuati negli ultimi dieci anni: a seguito di una marginalità agricola sempre più diffusa e alla progressiva diminuzione del numero degli abitanti nella zona, molti terreni sono stati destinati a coltivazioni pluriennali con specie arboree. Si tratta per lo più di impianti specializzati per la produzione di legname pregiato (soprattutto con noce e ciliegio) ma anche impianti sperimentali per la produzione di tartufi, e in particolare di tartufi neri, realizzati soprattutto con querce, carpini e noccioli.